FINANZA IBRIDA - IL BLOG
Negli ultimi dieci anni le criptovalute sono passate da fenomeno di nicchia a tema di dibattito politico globale. Politici di diverse posizioni ideologiche hanno sviluppato una retorica specifica attorno a Bitcoin e a tutte le altre monete digitali, strumentalizzandole per promuovere le proprie visioni economiche. Parallelamente, vari governi hanno adottato strategie economiche opposte: alcuni hanno abbracciato le criptovalute con leggi pionieristiche, altri le hanno fortemente limitate o addirittura proibite.
Anche l’industria delle criptovalute e della blockchain ha iniziato a influenzare attivamente la politica tramite lobby, finanziamenti e schieramenti a favore di candidati “crypto-friendly”. In questo report analizziamo:
la retorica politica su criptovalute a destra e sinistra;
le politiche economiche governative di supporto o contrasto alle crypto, con decreti, leggi e operazioni concrete;
il ruolo del settore industriale nel dibattito politico.
Verranno forniti dati, esempi di campagne elettorali, dichiarazioni di leader e riferimenti normativi chiave per ciascun ambito, con un caso di studio specifico sul divieto cinese delle criptovalute e le sue implicazioni.
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Molti politici di orientamento liberale o conservatore hanno abbracciato una retorica positiva verso le criptovalute, presentandole come monete libere dal controllo statale e leva di innovazione economica.
Un esempio precoce fu nel 2015 il senatore statunitense Rand Paul – di area libertaria Repubblicana – che divenne il primo candidato presidenziale USA ad accettare donazioni in Bitcoin. Questa mossa si allineava con la sua critica allo stato di sorveglianza finanziaria e la visione libertaria di ridurre l’ingerenza del governo nell’economia. In generale, la destra liberale ha spesso celebrato Bitcoin come “oro digitale” o scudo contro l’inflazione generata dalle banche centrali. Questa evoluzione testimonia come la destra populista cerchi di capitalizzare sul sentimento anti-establishment legato alle crypto, identificandole con indipendenza economica, innovazione e rifiuto dei controlli governativi.
Anche in Europa vediamo una retorica simile a destra. Ad esempio Stefan Berger, eurodeputato conservatore tedesco, difendendo Bitcoin dalle critiche ambientaliste della sinistra, ha affermato polemicamente: “La sinistra odia Bitcoin perché non può controllarlo… Il fatto che il valore crypto sia determinato da domanda e offerta è una spina nel fianco della sinistra”. Questa dichiarazione riassume il punto di vista di certa destra: le criptovalute incarnano un mercato libero decentralizzato, sottratto a banche centrali e pianificazioni statali, e per questo osteggiate da chi preferisce più intervento pubblico.
In Asia, un caso emblematico è la Corea del Sud, dove nel 2022 ha persino emesso NFT collezionabili; questa operazione esplicitamente crypto-friendly ha aiutato a conquistare un consenso giovanile, facilitando di molto le porpagande politico-sociali all'interno del paese.
Sul fronte opposto, molti esponenti di sinistra, ambientalisti o socialdemocratici hanno assunto un tono critico, verso le criptovalute.
La narrazione progressista sottolinea i rischi: volatilità, bolle speculative, uso criminale, impatto ambientale e mancanza di controllo è diventata una figura di spicco del fronte critico: si è autodefinita il “flagello delle crypto” costruendo una sorta di «Anti-Crypto Army» bipartisan per introdurre regole anti-riciclaggio più rigide. Warren avverte che il settore crypto, privo di adeguate tutele, minaccia consumatori e stabilità finanziaria, e paragona l’acquisto di Bitcoin a “comprare aria”.
La sua posizione, condivisa da altri liberal come il senatore Sherrod Brown, insiste sul fatto che spetti alle crypto dimostrare di essere “sicure, protette e superiori” alle soluzioni tradizionali – cosa che finora “non hanno fatto”, soprattutto dopo i clamorosi scandali e fallimenti del 2022. Emblematico è il richiamo di Warren al collasso di FTX denunciato, criticando la ricezione acritica dei fondi da parte di alcuni politici. In Europa, la sinistra istituzionale ha espresso preoccupazioni simili.
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Verdi e Socialisti al Parlamento Europeo hanno tentato nel 2022 di emendare la normativa MiCA per vietare le criptovalute ad alto consumo energetico. Figure del gruppo S&D (Socialisti & Democratici) hanno avvertito che senza regole stringenti, cripto-attività anonime possano facilitare evasione fiscale e traffici illeciti, minando al contempo il controllo delle banche centrali sulle politiche monetarie.
Anche governi di sinistra in America Latina hanno dipinto le crypto in termini negativi: in Bolivia, già nel 2014, un governo socialista le bandì definendole “una minaccia alla stabilità economica” (il divieto è tuttora in vigore), mentre in Argentina esponenti peronisti hanno parlato di “bolla finanziaria” riferendosi al Bitcoin durante la crisi inflattiva, preferendo promuovere valute digitali di banca centrale sotto controllo pubblico.
Va notato, tuttavia, che non tutta la sinistra è monoliticamente anti-crypto. Alcuni progressisti vedono un potenziale nell’uso sociale della blockchain, ad esempio per sistemi finanziari più trasparenti o monete complementari locali.
Nell’ecosistema Ethereum, per esempio, esiste una corrente di pensiero techno-progressista (a volte definita “radical market”) che intravede nella finanza decentralizzata strumenti per “costruire una società più egualitaria e giusta”, in sintonia con istanze del socialismo democratico. Tuttavia, queste idee rimangono teoriche e minoritarie rispetto alla retorica dominante a sinistra, che continua a enfatizzare controllo pubblico, regolamentazione rigorosa e prudenza di fronte al fenomeno crypto.
L’ultimo decennio ha visto governi di vari Paesi oscillare tra sperimentazione audace con le criptovalute e misure repressive per limitarne la diffusione. Le politiche adottate – che spaziano dall’adozione ufficiale di Bitcoin come moneta legale fino a divieti totali – sono spesso figlie sia dell’orientamento politico dei governi sia delle circostanze economiche locali.
Alcuni Stati, soprattutto in via di sviluppo o con economie particolari, hanno visto nelle criptovalute un’opportunità da cogliere.
Il caso più emblematico è quello relativo ad El-Salvador, che nel 2021 è diventato il primo Paese al mondo a dare corso legale al Bitcoin. Su proposta del presidente Nayib Bukele, il Parlamento salvadoregno approvò una legge che riconosce Bitcoin come valuta a corso legale accanto al dollaro americano.
Bukele ha motivato la mossa in termini di strategia economica nazionale: favorire le rimesse degli emigrati (riducendo le commissioni dei trasferimenti in dollari) e attrarre investimenti e turismo nel Paese. “Porterà inclusione finanziaria, investimenti, turismo, innovazione e sviluppo economico al nostro Paese”, ha twittato Bukele poco prima del voto.
In concreto El Salvador ha lanciato l’app “Chivo Wallet” per diffondere l’uso di BTC tra i cittadini, regalando l’equivalente di 30$ in Bitcoin ad ogni utente, e ha installato sportelli Bancomat Bitcoin. Inoltre, il governo salvadoregno ha acquistato Bitcoin per le proprie riserve e annunciato progetti futuristici come la “Bitcoin City", una città a tassazione zero finanziata da titoli di Stato legati a Bitcoin.
Questa scommessa, fortemente voluta da Bukele (un leader populista di destra), è stata presentata come atto di sovranità economica e di rottura col FMI: nonostante i moniti delle istituzioni finanziarie internazionali sui rischi di stabilità, la politica progressista in ambito cripto ha continuato un processo di valorizzazione futura di Bitcoin risanerà i conti e renderà il Paese un hub innovativo. Finora i risultati sono misti – con bassa adozione interna e perdite temporanee sulle riserve durante i ribassi – ma politicamente Bukele ha usato Bitcoin per rafforzare un’immagine di leader anti-establishment e visionario.
Un altro esempio di adozione ufficiale è la poco nota Repubblica Centrafricana, che nel 2022 ha annunciato a sorpresa di aver adottato Bitcoin come valuta legale (secondo Paese al mondo a farlo). In questo caso, motivazioni e outcome sono meno chiari: si ipotizza il tentativo di aggirare l’isolamento economico e attrarre investimenti esteri in una delle economie più povere, ma problemi infrastrutturali hanno limitato finora l’impatto reale.
Anche il regime autoritario venezuelano ha tentato una via originale: nel 2018 lanciò il Petro, una criptovaluta di Stato teoricamente agganciata alle riserve petrolifere, con l’idea di eludere le sanzioni internazionali e raccogliere valuta estera. Il Petro però si è rivelato principalmente una mossa propagandistica poco utilizzato nella pratica ma segnala come persino un governo socialista, in crisi di liquidità, abbia provato a strumentalizzare le crypto come valvola di sfogo finanziaria.
Diversi Paesi hanno scelto un approccio promozionale e regolamentare favorevole per posizionarsi come hub per l’industria blockchain. Malta, ad esempio, a fine anni 2010 si è autoproclamata “Blockchain Island” varando normative pionieristiche per attrarre exchange e startup.
Singapore e Svizzera hanno creato ambienti normativi chiari e relativamente permissivi: la Svizzera in particolare, pur non adottando crypto come moneta legale, le riconosce di fatto come valute straniere tassabili e ha integrato la blockchain nel proprio quadro giuridico.
Nel Medio Oriente, Dubai (UAE) ha fondato un ente regolatore specifico (VARA) per concedere licenze a operatori crypto, puntando a diventare un centro finanziario innovativo.
Questi governi, spesso guidati da logiche pragmatiche più che ideologiche, sostengono le criptovalute per creare nuovi mercati e posti di lavoro, diversificare l’economia e anticipare un futuro digitale. Il comune denominatore è la volontà di incanalare il fenomeno entro regole invece di vietarlo, tutto questo creando delle leggi che siano particolamente inclusive.
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L’Unione Europea stessa, dopo anni di dibattiti, nel 2023 ha approvato una normativa organica sulle cripto-attività il regolamento MiCA prima giurisdizione sovranazionale a farlo.
Questo “quadro normativo ampio e rigoroso” per gli asset digitali e i fornitori di servizi mira sia a proteggere i consumatori che a “promuovere l’integrità del mercato” e l’innovazione in modo regolamentato. In sostanza l’Unione Europea ha scelto di non bannare le monete digitali, ma di assoggettarle a licenze, requisiti patrimoniali per gli emittenti di stablecoin, obblighi di trasparenza e sostenibilità questo sta a significare che che alcuni governi preferiscono sfruttare la tecnologia in modo controllato, piuttosto che proibirla e perderne i benefici potenziali.
Sul lato opposto, numerosi Paesi hanno attuato politiche restrittive, dettate da preoccupazioni su criminalità finanziaria, volatilità e tutela della sovranità monetaria. Uno degli esempi di maggior spicco è sicuramente la Cina; la retorica ufficiale cinese giustifica queste misure con la necessità di “prevenire i rischi per la stabilità finanziaria” e reprimere il riciclaggio di denaro e la fuga di capitali. In realtà, la leadership di Pechino vede nelle criptovalute decentralizzate anche una minaccia al proprio stretto controllo sull’economia e molto probavilmente potrebbe aver agito così per spianare la strada alla propria valuta digitale di banca centrale: "lo yuan digitale".
Anche l'India ha avuto un atteggiamento oscillante ma prevalentemente restrittivo: nel 2018 la Banca centrale indiana (RBI) vietò alle banche di offrire servizi a imprese crypto. Successivamente il governo, pur rinunciando a un divieto totale, ha introdotto nel 2022 una tassazione punitiva: aliquota fissa del 30% su tutti i profitti da crypto, più una ritenuta alla fonte dell’1% su ogni transazione.
Molti altri Paesi hanno imposto limitazioni parziali. La Turchia, di fronte al crollo della lira e all’uso dilagante di Bitcoin come rifugio, nel 2021 ha vietato l’uso delle crypto come mezzo di pagamento (pur senza proibire il trading o il possesso). La motivazione ufficiale fu impedire attività illegali e proteggere la stabilità monetaria nazionale.
Allo stesso modo la Nigeria, che pure ha uno dei tassi di adozione crypto più alti al mondo, nel 2021 ha ordinato alle banche di bloccare conti associati a trading di criptovalute, cercando di arginare la fuga di valore dal naira. I possessori di critpovalute nigeriani non si sono fermati ai primi blocchi e imposizioni imposte dal governo, che sono passati a piattaforme peer-to-peer, ma indica il dilemma dei governi: tutelare la propria valuta e sistema bancario sentito in pericolo dall’economia crypto parallela. Anche in Europa ci sono esempi di restrizioni: nel Regno Unito, le autorità di vigilanza finanziaria (FCA) nel 2021 hanno proibito ai piccoli investitori retail di operare con derivati sulle criptovalute, ritenendoli prodotti “ad alto rischio e inappropriati per i consumatori”.
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L’Argentina rappresenta un caso emblematico di come la politica e l’economia possano influenzare drasticamente l’adozione delle criptovalute. Il paese ha attraversato un lungo periodo di crisi finanziaria, con un’inflazione che ha spesso superato il 100% annuo. In questo contesto, le criptovalute, e in particolare le stablecoin come Tether (USDT) e USD Coin (USDC) e sono diventate uno strumento chiave per proteggere il valore dei risparmi dei cittadini. Dopo l’insediamento di Milei, l’Argentina ha iniziato a smantellare i controlli sul cambio valutario e ad aprire alla possibilità di utilizzare criptovalute in modo più libero. Sebbene non sia ancora stata presa la decisione di adottare Bitcoin come moneta a corso legale, governo argentino ha mostrato segnali di maggiore apertura verso il settore crypto, attirando l’interesse di investitori e aziende del settore.
Va sottolineato che diverse giurisdizioni hanno mutato approccio nel tempo, spesso reagendo agli eventi di mercato. Gli Stati Uniti hanno attraversato fasi alterne: fino al 2017 hanno mantenuto un atteggiamento relativamente laissez-faire, poi di fronte al boom delle ICO e a truffe evidenti, la SEC iniziò a sanzionare duramente i progetti irregolari. Negli ultimi anni la politica USA in materia è diventata terreno di scontro politico: alcuni congressisti spingono per regolamentare e legittimare le crypto, mentre altri invocano strette più severe.
Nel corso degli anni la direzione presa dal governo americano, specie dopo l'insiediamento alla presidenza nuovamente di Donald Trump, è sicurmente cripto-centrica in quanto l'utilizzo dele criptovalute è sempre maggiormente considerato raccogliendo piu consensi da parte dei vari establishment; in merito a questo perfno colossi finaziari come Blackrock hanno inserito i Bitcoin all'interno delle loro proposte.
Mentre i governi accendono dibattiti su come regolamentare e utilizzare le criptovalute, il settore privato e l’industria blockchain hanno progressivamente aumentato il loro peso politico. Negli ultimi anni, aziende crypto, investitori e gruppi di interesse collegati alle valute digitali sono diventati attori lobbyisti di rilievo, cercando di influenzare normative e regolamentazioni. Questo coinvolgimento va da donazioni elettorali ingenti a campagne mediatiche e iniziative specifiche.
L’influenza dell’industria non si limita ai soldi: vi è una vera e propria attività di lobby e public relations. Associazioni di categoria come la Blockchain Association e la Chamber of Digital Commerce a Washington, o l’European Crypto Initiative a Bruxelles, dialogano con i decisori fornendo studi, proponendo emendamenti normativi e cercando di plasmare la regolamentazione. Per esempio, durante la stesura di MiCA in UE, lobby del settore sono intervenute per mitigare proposte troppo restrittive. Questa competizione regolamentare globale viene abilmente sfruttata dall’industria; Stati come la Francia o gli Emirati Arabi sono stati pubblicamente elogiati da dirigenti crypto per le loro normative bilanciate, mettendo pressione sui Paesi più rigidi a non “perdere il treno” dell’innovazione.
Nel mondo crypto esiste anche una componente ideologica che simpatizza con movimenti anti-sistema sia di destra che di sinistra: alcuni anarchici e cypherpunk vedono nelle crypto un mezzo per minare il potere delle banche centrali. Questo è un aspetto molto controverso perchè come detto alcuni dei più grandi colossi finanziari hanno già inserito le criptovalute all'intterno delle loro porposte d'investimento. Questo indica che il confine tra politica e industria si fa sottile.
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L’ultimo decennio ha evidenziato come le criptovalute siano ben più di una novità tecnologica: esse sono diventate un fatto politico e sociale; oltre che una realtà ormai solida in gran parte del Mondo.
Alcune nazioni, come El Salvador, hanno integrato Bitcoin nel cuore della loro economia, mentre altre, come la Cina, hanno eretto muri legali per escluderlo. In mezzo ci sono molte democrazie avanzate, che cercano un difficile equilibrio tra innovazione e regolamentazione. Il panorama è dinamico e continuamente in movimento ci sono governi inizialmente ostili hanno introdotto aperture, mentre altri un tempo permissivi hanno stretto le maglie dopo alcuni scandali.
Le motivazioni dietro questi cambi di rotta spesso combinano pragmatismo economico per sfruttare la blockchain per modernizzare i servizi finanziari o lanciare una propria moneta digitale nazionale, questo viene unito a considerazioni politiche come compiacere un elettorato giovane pro-innovazione, o al contrario rispondere all’opinione pubblica scottata da truffe e crash di mercato invocando regole severe. Nel frattempo, il settore privato crypto si è organizzato per difendere i propri interessi, divenendo una forza di pressione politica di tutto rispetto.
Le criptovalute continueranno ad essere uno strumento usato da movimenti politici alternativi e gruppi economici per sfidare lo status quo. In definitiva, le criptovalute sono e saranno oggetto di scontro politico-ideologico. In definitiva le criptovalute saranno prenderanno sempre più piede nella società.
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